2003 06 Intervista: Ragnetti cantiere Perini

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PERINI, IL FUTURO GIÀ A BORDO

Nell'immaginario collettivo della nautica, il logo Perini è oggi sinonimo di superyacht a vela assai tecnologici, con spazi interni ed esterni molto più comodi e vivibili rispetto agli yacht tradizionali; in grado di consentire al comandante-armatore di gestire vele, manovre e impianti anche da solo, in assoluta sicurezza. Abbiamo chiesto all'ing. Ragnetti, amministratore delegato del Cantiere: Cosa vi ha spinto a costruire, per primi, questo tipo di superyacht?

Soltanto l'intuito e la genialità del Sig. Fabio Perini. Gli piacevano i grandi yacht a vela e aveva grossa competenza in campo meccanico, in quanto costruttore di macchine per la produzione della carta. Aveva avuto dei Sangermani, poi uno yacht a vela di 22 metri e, nell' '80, voleva regalarsi una barca ancora più grande, ma innovativa. Ma non riuscì a trovare nessuno che traducesse in un progetto le sue idee... una barca a vela con il flying bridge, con i winch automatici ecc.


Era concettualmente troppo rivoluzionaria per i tempi...

Proprio così, tanto che andammo fin negli Usa, per conoscere Dick Carter, il progettista del " LUNA ", un due alberi a quei tempi un pò innovativo, che ci disegnò il progetto della nostra prima unità. Ma quando tornammo a Viareggio ci tenemmo solo alcune linee di carena e ci mettemmo sopra un'altra struttura, un altro piano velico, altre macchine, flying bridge... Insomma, un sacco di idee nuove per un prodotto nuovo, che progettammo noi stessi e per primo ci costruì un cantiere di Ortona (ORTONA NAVI). Realizzammo un 40 metri, poi un 42.


Ma poi avete scelto Viareggio...

Sì, nell' '87, acquistando l'attuale sede sulla darsena per gli uffici di progettazione e commerciali, e il piccolo cantiere sottostante, d'appoggio per l'allestimento delle prime barche. Contemporaneamente acquisimmo una parte del Cantiere Beconcini, di La Spezia.

Poi avete comprato il famoso cantiere PICCHIOTTI?

Esattamente, tra la fine dell' '89 e l'inizio del '90, dal curatore fallimentare, rilevando il marchio, il nome e l'archivio storico.

Il nome Picchiotti, quindi, è vostro. Pensate forse di costruire anche barche a motore?

Assolutamente no! Perini è sinonimo di grandi superyacht a vela. Ma in un futuro non si può mai sapere. È un'opzione, con relativo valore commerciale, messa nel cassetto, che nessuno ci può portar via.

Poi, avete costruito anche un cantiere in Turchia...

A parte la convenienza dell'area (45.000 mq), della concessione e dell'ubicazione, sul mare, in un golfo a una trentina di chilometri dal centro di Istambul, ci convinse la scoperta di una monodopera già specializzata nella lavorazione di scafi in metallo, grazie a esperienze nei cantieri navali tedeschi, allora in grande crisi per la concorrenza asiatica. Ora in quel nostro cantiere operano circa 100 persone e comparando un prodotto arrivato dalla Turchia con uno fatto in Italia o in Nord Europa ci si accorge non solo che non c'è nessuna differenza, ma spesso quello turco è superiore. Il vantaggio per noi è di poter produrre tutte le barche che ci servono, al nostro livello di qualità e puntualità, cosa diventata difficile in Italia, dove gran parte dei cantieri di grandi barche si rivolge per gli scafi a fornitori, sub-appaltatori esterni di carpenteria metallica.

In Turchia, attualmente, cosa costruite?

Siamo partiti con l'acciaio, poi grazie alle nuove lastre di grande qualità ora disponibili sui mercati, siamo passati all'alluminio, al 100%, e costruiamo scafi completi di sovrastrutture che arrivano via mare al nostro Cantiere Picchiotti - il nome della struttura non è cambiato, in omaggio alla storia nautica della città - già avanti, se necessario, anche con impiantistica, coibentazione, pitturazione, preparazione per la pitturazione ecc. A Viareggio completiamo e allestiamo, ma produciamo anche gli alberi d'alluminio, sartiame, winch, avvolgitori e tutte le macchine di controllo e gestione della parte velica create da Fabio Perini.

Infine, recentemente avete acquisito il Cantiere Beconcini, nel golfo di Spezia...

L'anno scorso, al 100%. Un'area magnifica, su circa 35.000 mq, che ci servirà per fare manutenzioni e riparazioni per le nostre barche. Avremo, alla fine di quest'anno - con le tre unità attualmente in allestimento e consegna - ben 30 grandi Perini in mare e c'era il problema assisterli, di dare a queste nostre barche la possibilità di tornare da noi per i lavori di manutenzione. A Viareggio purtroppo, per la scarsità dei fondali e il poco spazio in banchina, non è più possibile, mentre Spezia, è un grosso porto, ben protetto, dov'è facile entrare e uscire.

Insomma, in pochi anni, avete creato un complesso produttivo e di servizi veramente invidiabile. E il vostro prestigio cresce, anche se tutti già riconoscono a Perini il merito di aver creato un mercato che non c'era, in cui, successivamente, si sono inseriti importanti cantieri europei e americani...

Il merito, ripeto, è tutto di Fabio Perini, che molti all'inizio degli anni 80 hanno considerato solo un sognatore. Questa fascia di mercato l'ha creata lui e oggi, in tanti, ci hanno seguito. Ciò testimonia che la scelta era buona. E noi dai primi 40, 42 e 43 metri, siamo poi passati al 46, al 48 metri e poi ai 50, 52, 56, 58 e così via. Abbiamo costruito anche tre unità di 25 metri, in vetroresina, nelle quali abbiamo messo tutta la tecnologia delle barche più grandi, ma i prezzi lievitavano troppo a vantaggio della concorrenza. Così abbiamo rinunciato, per rimanere fedeli ai nostri obiettivi: produrre solo superyacht a vela.

La vostra chiave per entrare in questo settore così tradizionalmente anglosassone?

Ci siamo imposti, prima di tutto, di fare un prodotto, non solo di qualità, cosa possibile anche ad altri cantieri, ma che ci caratterizzasse. Perciò, almeno le nostre prime 10-12 barche, sono state quasi tutte progettate e costruite come le concepivamo noi e solo successivamente messe in vendita. Ciò allo scopo di non farci modificare il progetto dalle richieste degli armatori. Non potevamo transigere su determinati punti fondamentali, che sono l'estetica, le linee caratteristiche, i profili e determinati particolari interni. Addirittura, all'inizio, abbiamo dovuto venderle a prezzi più bassi dei costi, perché il prodotto italiano nell' '85-'86 all'estero non godeva di un buon nome. Comunque, è stato un investimento pianificato. Ora che ci conoscono, le vendiamo in progetto.

Sono state le barche a parlare per voi?

Era l'obiettivo e abbiamo vinto la nostra battaglia. Ma non dimentichiamo le macchine per il controllo della parte velica, che abbiamo ideato, realizzato, provato, fatto, disfatto, rifatto, ricostruito, rimesso a punto noi. E sono talmente affidabili da consentire piani velici di 1.600-1.700 mq, con un genoa da 750 mq che veramente si apre e si chiude in meno di un minuto, senza il minimo sforzo e senza la minima problematica.

Qual è stato il vostro segreto?

Semplificare, in sicurezza. Abbiamo studiato i sistemi delle macchine per la carta e li abbiamo trasferiti nel settore delle barche. Sono tutti elettrici, così abbiamo abbandonato l'idraulica per l'elettricità, molto più facile da gestire.

È vostro anche il software di gestione?

Si, anche se poi ci appoggiamo a qualcuno esterno che ci dà una mano. Abbiamo ottenuto un controllo flessibile dell'insieme, in grado di tener conto delle diverse velocità delle varie apparecchiature per farle muovere armonicamente. Ad esempio, ci sono sensori che individuano sia il carico che c'è sulla vela sia la sua posizione, e in base a tali parametri modificano la velocità, riducendola se c'è più potenza e, viceversa, aumentandola quando ce n'è meno. L'elettronica oggi assicura parametri di sicurezza enormi. E se l'elettronica va in tilt? Nessun problema, si baipassa tutta l'elettronica e si ritrova una macchina elettrica normalissima, che funziona da macchina elettrica.

Quanti chilometri di cavi ci sono su una vostra barca di 50 metri?

Un 50-60 chilometri di cavi e forse anche di più, tenendo conto dell'attuale sviluppo di parte elettrica ed elettronica sulle barche.

C'è un monitoraggio continuo del sistema?

Costante, che permette, nelle varie postazioni di bordo, di controllare ogni diversa funzione della barca in qualsiasi momento, con tanto di allarme acustico e scritta che avvisa: "È successo questo, intervieni là". Ed è un monitoraggio- automazione, perché, senza andare ad attaccare gli interruttori, se sul monitoraggio si clicca sulla pompa, parte la pompa, si chiude la valvola e cosi via.

Naturalmente avete una scatola nera che memorizza tutto...

Si. È divisa in due: la parte impianti macchina e la parte velica. Per quest'ultima registriamo la velocità della barca, la direzione del vento, i carichi sulle scotte, lo sbandamento ecc. ecc. Così, i responsabili che controllano il default, vengono avvertiti: "Non stai sul target, vedi che cosa c'è, se qualcosa è regolato male"... È importante ricordare, però, che le macchine sono tarate per determinati carichi di vento. Quindi, supponendo che un genoa venga tarato su 15 tonnellate, se la forza del vento supera tale limite, il winch rilascia, riportando il sistema nelle condizioni di sicurezza. È evidente che le tarature si possono fare per vento leggero, medio o forte, aumentando o diminuendo i carichi. Volendo, per esasperare le prestazioni in regata, il sistema di gestione automatico può essere completamente escluso.

Anche il cantiere riceve tali informazioni?

Si. Quando non ci sono trasmessi direttamente dalla barca, li rileviamo noi, alla prima visita d'assistenza, che è svolta sempre e ovunque direttamente dal cantiere. La disponibilità di tali dati ci consente, nel reciproco interesse, di aggiornare il sistema e apportare eventuali modifiche al software anche durante una navigazione in acque lontane, semplicemente reinstallando il programma corretto che gli inviamo per via telematica.

Come si impara a portare un Perini?

In genere l'armatore ci fa solo delle visite, mentre il comandante, il motorista e lo stesso surveyor possono godere di un training minimo di 18 mesi, con dei corsi soprattutto sulla parte velica. Poi, quando si va in mare, oltre alle normali prove, rimangono a bordo sempre un paio di persone - una per la coperta e l'altra per la parte macchina - per una quindicina di giorni. Insomma, curiamo molto i clienti e abbiamo creato per loro un giro di comandanti, motoristi ed equipaggi, che gravitano sulle nostre barche, passano dall'una all'altra, non hanno bisogno di grossi tirocini per portare un Perini, un prodotto che non deve creare problemi per la serenità dell'acquirente e nostra, che conserva il suo valore nel tempo, come ogni ottimo investimento.