2012 04 Intervista: ESCLUSIVO: Liguria Nautica intervista Giancarlo Ragnetti, ad di Perini Navi Group
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martedì 17 aprile, 2012
ESCLUSIVO: Liguria Nautica intervista Giancarlo Ragnetti, ad di Perini Navi Group
• Giancarlo Ragnetti racconta nella nostra intervista esclusiva i segreti del successo del Gruppo Perini Navi e non mancano gli spunti di riflessione: «Turchia più moderna dell’Italia»
Miles Ahead. Miglia avanti. Il titolo di un vecchio album jazz di Miles Davis con Gil Evans calza a pennello se si vuole riassumere in due parole la chiave del successo di Perini Navi, marchio nato nel 1983 per volere dell’imprenditore lucchese Fabio Perini, ad oggi leader mondiale nella costruzione di mega yacht a vela – improntati all’estremo easy sailing – e, con l’acquisizione dello storico marchio Picchiotti (avvenuta tra l’89 e il ’90), e il suo trasferimento all’ex Cantiere Beconcini della Spezia, anche a motore. Saldamente al timone dell’azienda, dal 1988, è l’amministratore delegato Giancarlo Ragnetti, a cui abbiamo rubato un po’ di tempo per un’intervista esclusiva a tutto tondo sul Gruppo Perini Navi e sullo stato di salute attuale della nautica italiana.
Dott. Ragnetti, in un’intervista rilasciata a Nautica nel 2003 dichiarò che, nonostante Perini avesse acquisito il marchio Picchiotti, avrebbe continuato ad operare esclusivamente nel campo delle imbarcazioni a vela. Cosa è cambiato nel frattempo?
«Il nostro impegno principale è sempre stato focalizzato sulla vela e quando abbiamo acquisito Picchiotti, il cantiere viareggino proponeva un prodotto che non era più attuale. Bisognava operare un restyling sia strutturale che di immagine, così ci siamo tenuti l’opzione nel cassetto per alcuni anni, sapendo che saremmo potuti entrare nel mercato del motore al momento opportuno. Una volta che lo stile Perini, nell’ambito dei grandi yacht a vela, si è istituzionalizzato, abbiamo deciso di provarci anche con le barche a motore. Il problema che ci poniamo sempre è quello di sfornare un prodotto diverso, che non entri in competizione con gli altri marchi, generando una battaglia al ribasso del prezzo».
Come avete risolto il problema?
«I nostri modelli a vela presentano caratteristiche – come ad esempio il fly bridge – tipiche delle barche a motore. All’epoca cercammo di capire quanto di uno yacht a motore potesse essere adattato alla vela, quindi non abbiamo fatto altro che invertire il ragionamento: che cosa possiamo portare dalla vela nel mondo del motore? La carena, innanzitutto. Per la linea Vitruvius®, abbiamo sposato le linee proposte da Philippe Briand, celeberrimo designer di barche francese, con cui avevamo già collaborato nel 2008 per P2, nave a vela Racing Line di 38 metri. Si tratta di una serie di imbarcazioni caratterizzata da scafi con linee che richiamano decisamente quelle delle barche a vela, all’insegna di una maggior eleganza e leggerezza. Uno scafo filante significa anche meno consumi, meno inquinamento e meno rumore».
Per adesso, sfornate uno scafo all’anno…
«Nel 2010 abbiamo varato il primo 50 metri, l’Exuma, mentre l’agosto scorso è stata la volta di Galileo G, 55 metri, realizzato secondo le normative Ice Class, e quindi studiato per le condizioni più estreme. Un explorer ultra tecnologico che, ha annunciato l’armatore, si cimenterà presto nel passaggio a nord-ovest. In costruzione abbiamo invece un 73 metri che sarà completato nel 2013».
Il comparto nautico, a partire dal 2008, è in profonda crisi. I fatturati sono calati anche per Perini o la scelta di rivolgervi a una nicchia di mercato e la vostra fama internazionale vi consentono di non soffrire il momento negativo?
«Chi racconta che non ha sofferto questa crisi, evidentemente, ha una soglia del dolore molto alta. I nostri fatturati hanno subito un calo del 20-25%. Ma se nel 2010 abbiamo avuto una sola commessa, l’anno scorso abbiamo ordini per tre barche di dimensioni importanti (due 60 metri e un 70 metri): le maggiori entrate ci consentono di aumentare la capacità di produzione in questo 2012.
I segnali di ripresa si vedono, ma non si tornerà di certo agli anni d’oro della nautica del pre-2008. Va detto che il mercato della grande vela ha accusato meno il colpo rispetto a quello del motore, caratterizzato da una maggiore competitività».
I cantieri operanti nel leisure stanno ampliando le dimensioni dei propri modelli e Perini non fa eccezione. È in quella direzione che si sta muovendo il mercato?
«Di fatto, la crisi ha notevolmente ridotto le capacità di spesa della piccola-media borghesia: anche chi ha un po’ di soldi da parte, non desidera mettersi in mostra acquistando un mega yacht. Chi può permettersi investimenti di svariati milioni, invece, non è stato minimamente toccato dalla crisi e richiede scafi di dimensioni sempre maggiori».
Nell’87, proprio quando Perini Navi si è stabilita a Viareggio, ha acquisito anche gli spazi per il cantiere di Yildiz, in Turchia. Si trattò di una scelta coraggiosa.
«Una scelta coraggiosa, ma lungimirante, operata da Fabio Perini. In Italia non c’erano ulteriori posti adeguati per la costruzione di barche di grandi dimensioni, mentre in Turchia si poteva disporre di spazi immensi. C’era da prendere un treno, l’abbiamo preso, perché la nazione, negli anni a venire, ha conosciuto una fase di sviluppo continuo. Laggiù abbiamo trovato una manodopera seria e affidabile, fatta di operai che si sono formati nella cantieristica tedesca: inoltre l’imprenditoria turca, a differenza della nostra, è in grado di guardare avanti. In Italia abbiamo grande esperienza nel settore, ma spesso ci soffermiamo sulla nostra storia: in questo senso, la Turchia è un paese più moderno del nostro, in quanto le sue neonate aziende, proprio perché nuove, sono dotate di una mentalità proiettata verso il futuro: questo si traduce, ad esempio, in una maggiore lungimiranza nella scelta delle infrastrutture e delle attrezzature».
Ripercorrendo la storia di Perini Navi, secondo Lei, dove risiede il segreto del vostro successo?
«In Italia la cantieristica nautica, in passato, è sempre stata vissuta con una mentalità artigianale. Fabio Perini (proveniente dal mondo dell’industria meccanica, ndr) ha avuto il pregio di approcciarsi a questo tipo di mercato con una mentalità industriale più che artigianale. Inoltre, puntare fin da subito sulla comodità di navigazione e la facilità di conduzione si è rivelata una scelta vincente in grado di anticipare i tempi (attualmente la filosofia dell’easy sailing ha preso piede nell’intero settore della vela, dalle barche più grandi ai piccoli cabinati, ndr)».
I vostri mercati di riferimento restano l’Europa e gli USA oppure, come stanno facendo altri marchi (Azimut e Baglietto su tutti), vi state rivolgendo anche ai cosiddetti paesi emergenti, quali Russia, Cina e Brasile?
«Per adesso, la maggior parte dei nostri clienti proviene dall’Europa e dagli Stati Uniti, ma guardiamo con attenzione l’evolversi della situazione in Far East (dal 5 all’8 aprile, il Gruppo Perini ha presentato video, modelli e foto delle 53 navi costruite fino ad oggi all’Hainan Rendez-Vous, la fiera cinese dedicata ai mega yacht e ai jet privati, ndr). Potenzialmente si tratta di un mercato importante, ma prima di poter investire seriamente sui paesi emergenti, dobbiamo aspettare che la cultura del diporto metta le radici e si sviluppi».
In futuro punterete di più sull’ecosostenibilità?
«Sicuramente ci muoveremo nell’ambito del “green”, perché la navigazione a vela è in grado di produrre energia: stiamo studiando un sistema di turbine da applicare sulla carena, che, durante la navigazione, possano generare energia. Il problema, soprattutto sulle barche più grandi, è capire dove immagazzinare questa energia. Inoltre punteremo sulle propulsioni ibride (diesel-elettrico), che consentono di avere motorizzazioni più basse, in modo da risparmiare carburante e ridurre l’inquinamento».
E l’easy sailing di stampo periniano? Diventerà ancora più “easy”?
«La facilità di conduzione delle nostre imbarcazioni è, già adesso, totale. Quello che stiamo cercando di migliorare, invece, è la velocità di manovra: sono al vaglio nuovi sistemi in grado di garantire più potenza di tiro e velocità a fronte di carichi che arrivano fino a 30 tonnellate e richiedono velocità di manovra di minimo 60-70 metri al minuto».
Nonostante la conduzione di uno yacht Perini sia semplice, si tratta comunque di scafi grandi come navi. Prima di consegnare una barca, esiste un periodo di training per l’equipaggio?
«Ormai abbiamo 53 barche in acqua. Si è creato un mondo di nostri comandanti di fiducia e di equipaggi che operano a bordo di imbarcazioni diverse che chiamiamo per corsi specifici ogniqualvolta si vari uno scafo. Si tratta soprattutto di insegnare al comandante e al vice della nuova barca le funzioni durante la navigazione a vela. Inoltre, durante la costruzione siamo a stretto contatto con l’armatore e con il comandante: ben venga la qualità costruttiva, ma uno dei criteri che è in grado di fare la differenza è il servizio di assistenza prima, durante e dopo la consegna».
Il suo parere sulla nautica in Italia e più specificatamente sul segmento dei mega yacht? Crede che l’Ucina e il governo stiano facendo bene il proprio lavoro?
«Premetto che anch’io faccio parte del Consiglio direttivo dell’Ucina. Ultimamente c’è stato un forte momento di aggregazione tra la Confindustria Nautica e i grandi cantieri, quando si trattava di cambiare le misure varate dal governo Monti, che prevedevano la tassa sui diritti di stazionamento delle imbarcazioni. L’unione fa la forza, e siamo riusciti a far sì che da tassa di stazionamento si tramutasse in tassa di possesso, una soluzione più equa che ha sicuramente evitato il “non la pago perché costa troppo e me ne vado”. Il clamore intorno all’imposta “ammazza-nautica” (prima che cambiasse, ndr), però, ha creato non pochi danni sul momento, allontanando i diportisti stranieri dalle nostre coste. Per quanto riguarda le nuove normative sul noleggio e sulla possibilità da parte dei privati di dare in affitto la propria barca, ritengo che siano corrette, a patto che non si estendano troppo arrivando a toccare le barche più grandi, per le quali mettersi in regola per il charter ha rappresentato un costo notevole che non deve essere vanificato da una liberalizzazione indiscriminata».
Eugenio Ruocco