Roberto Mancini

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Nato a Jesi (Ancona); calciatore prima e allenatore dell' Inter fino al 2008.

Articolo pubblicato: lunedì 13 luglio 2009 da Skalka in: Personaggi Interviste Roberto Mancini, disoccupato di lusso, ex ragazzo prodigio del calcio italiano, colui che ha riportato lo scudetto a Milano sponda Inter, torna a parlare. Lo fa attraverso un’intervista concessa al quotidiano L’Avvenire nella quale ripercorre tutta la sua carriera, dai primi calci al pallone nella scuola calcio Aurora di Jesi, fino alla sfortunata notte di Wembley quando vide sfumare una storica Coppa dei Campioni con la maglia della Sampdoria, uno dei suoi più grandi rimpianti. Si arriva infine alla carriera da allenatore, alle gioie e ai dolori che questa sua nuova vita gli ha riservato fino ad ora.

Il Mancio (Mancini) è ormai lontano dal calcio da più di un anno e inizia ad aver voglia di tornare, la nostalgia della panchina inizia a farsi sentire, tuttavia c’è qualcosa che non gli manca di questo mondo: sono le gerarchie che giudica come deleterie. A capo di ogni società ovviamente ci sono i presidenti che spesso con le loro ingerenze rovinano il lavoro degli allenatori. Negli scorsi giorni aveva fatto una battuta a proposito di Berlusconi e della sua mania di fare l’allenatore e di come questo vizietto potrebbe in futuro creare problemi anche al nuovo arrivato Leonardo. Ma anche ai tempi dell’Inter le cose non andavano tanto diversamente:

“Io posso parlare solo di Moratti e qual­che volta ci ha provato anche lui a far­mi la formazione, magari spingendo per mandare in campo qualche gio­catore che gli stava più a cuore. Ma non c’è riuscito, anche perché penso che non sia giusto che un presidente interferisca sulle scelte tecniche. Que­sto è uno dei mali peggiori del nostro calcio. Le gerarchie: presidente, ds, respon­sabile area tecnica, team manager, qui da noi non fanno altro che com­plicare tutto e alimentare le pressio­ni”. Armatore di un TECNOMAR VELVET 35 e nel luglio 2009 di un KIFARU modello ASKARI 63